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La diffamazione su FB prevede il carcere fino a tre anni

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Post e commenti denigratori su Facebook fanno scattare il carcere: è questa la pena prevista per il reato di diffamazione che – a differenza di quello di ingiuria – non è stato depenalizzato e, anzi, se commesso su Facebook, implica un’aggravante ulteriore per via dell’uso del «mezzo di pubblicità». È proprio l’estrema viralità dello strumento telematico a giustificare una punizione più grave e severa rispetto alla stessa condotta commessa al di fuori di internet.

La versione più grave del reato di diffamazione è prevista per chi pubblica l’offesa sui giornali: la carta stampata ha ancora il primato dell’aggravante più pesante, quella appunto dell’uso della «stampa», cui un normale sito internet, ivi compreso Facebook, non può essere equiparato (salvo abbia requisiti di professionalità, come può essere la versione online di un quotidiano)

L’aggravante

Anche la diffusione di un messaggio con offese e calunnie su Facebook integra un’ipotesi di diffamazione “aggravata” [2] poiché questa modalità di comunicazione, suscettibile di arrecare discredito alla reputazione altrui, ha la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone; ciò perché attraverso tale piattaforma virtuale, gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale, allargato a un numero indeterminato di aderenti, al fine di una costante socializzazione [3]. Tuttavia proprio queste peculiari dinamiche di diffusione del messaggio screditante sono tali da far sì che l’ingiuria su Facebook sia tra quelle cui si applica l’aggravante del «mezzo di pubblicità».

Offese indirette

Anche le offese indirette su Facebook, quelle cioè che non contengono l’esplicita indicazione del nome e cognome della vittima, ma la cui identità è facilmente distinguibile, vengono punite allo stesso modo (ad esempio: il riferimento al vincitore di un concorso additato come “raccomandato”). In tali casi, secondo la giurisprudenza, la diffamazione è comunque integrata per via del fatto che la collettività è in grado di risalire al destinatario del post diffamatorio. Tanto più, quindi, il contesto è piccolo (un paesino, un luogo di lavoro, una palestra), tanto più facile è l’individuazione della vittima, tanto più agevolmente scatta il reato.

Offese su Facebook all’azienda

Quanto alle offese e calunnie su Facebook al datore di lavoro, la giurisprudenza ha dato pareri discordanti. È vero che il dipendente deve sempre preservare l’immagine dell’azienda presso cui presta servizio, ma non gli si può neanche impedire il diritto di critica o di satira, ivi compresa, ad esempio, la possibilità di pubblicare un’immagine ironica su Facebook che ritrae il logo dell’azienda su un coperchio di vasellina. A riguardo la Cassazione ha ritenuto, due giorni fa, che il licenziamento inflitto per tale comportamento debba ritenersi una ritorsione [4]. La Corte di Cassazione ricorda come il licenziamento ritorsivo consta di due diversi accertamenti: «il motivo di ritorsione (motivo illecito) [5]; la assenza di altre ragioni lecite determinanti (esclusività del motivo)».

Per cui, prima di infliggere il licenziamento al dipendente che ha pubblicato su Facebook un commento, un’immagine o un post con un’offesa all’azienda è necessario verificare l’effettiva lesione dell’immagine dell’azienda stessa. Bisogna accertarsi, ad esempio, quanto ampia sia la cerchia di amici dell’autore dell’apprezzamento, quante persone l’hanno condivisa e divulgata all’interno dell’ambiente lavorativo o tra i clienti, ecc.

Sempre a tal proposito, la Cassazione [6] ha detto che è legittimo criticare aspramente il datore di lavoro, purché i fatti narrati corrispondano a verità e le espressioni utilizzate rimangano nell’ambito della correttezza e della civiltà.

Cosa rischia chi commette una diffamazione su Facebook? Lo dice chiaramente il codice penale [2]:

  • la pena base è il carcere da 6 mesi a 3 anni o la multa non inferiore a 516 euro;
  • se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto specifico, la pena della reclusione sale fino a 2 anni, oppure scatta la multa fino a 2.065 euro.

Come difendersi per offese e calunnie su Facebook?

La prima cosa da fare è procurarsi le prove del reato. Questo passaggio è fondamentale se si tiene conto che, spesso, i post diffamatori sono pubblicati in un momento di impeto e d’ira, ma dopo una più attenta ponderazione dei fatti e delle circostanze vengono cancellati con la paura delle conseguenze legali. La cancellazione però avviene quando il più del danno è oramai compiuto, per cui è comunque possibile agire sia in via penale che in via civile per il risarcimento del danno.

Per procurarsi la prova è consigliabile far leggere il post a qualche conoscente (anche a parenti) che possa, in un futuro giudizio, confermare di aver letto il contenuto o visto l’immagine offensiva. Si tratta della prova testimoniale che, sicuramente, è uno dei veicoli più usati per dimostrare al giudice le proprie ragioni.

In ogni caso è bene stampare la pagina, fotografarla o, meglio ancora, creare una immagine digitale (cosiddetto file screenshot) da conservare e poi mostrare al giudice allegando il file originale e la stampa.

In realtà, tutte le copie realizzate da una normale stampante sono facilmente contestabili perché alterabili (basterebbe un normale programma di fotoritocco). Così, una soluzione è quella di ottenere un’autentica da parte del notaio. In altre parole, si stampa il foglio, lo si porta dal notaio il quale rilascia l’attestazione di copia conforme. Questo conferisce al semplice foglio di carta, benché riproduzione meccanica, una pubblica fede di corrispondenza all’originale presente al video, difficilmente contestabile dal responsabile.

In ogni caso, bisogna ricordare che le dichiarazioni della vittima, anche se da sole, possono essere utilizzate dal giudice come prove per emettere la sentenza di condanna. Nel processo penale, infatti, la parte offesa può testimoniare a proprio favore (non lo può fare, invece, il colpevole).

Entro quanto tempo presentare la querela

Il secondo passo è quello di presentare la querela a una normale stazione dei Carabinieri o depositarla alla procura della Repubblica. Bisogna agire entro 3 mesi dal momento in cui si è venuti a conoscenza del reato.

In entrambi i casi non è necessario un avvocato, trattandosi di dichiarazione di parte. La presenza di un legale, però, servirà ad evitare errori di procedura che spesso si commettono, come ad esempio la mancata indicazione della richiesta di avviso in caso di archiviazione dell’indagine.

Se l’offesa è stata pubblicata da un account fake bisogna presentare la querela contro persona da identificare. L’identificazione avverrà mediante le indagini della Polizia Postale.

Rassegna stampa da Laleggepertutti.it

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