Cultura

“La Spagnola”, la peste di cento anni fa che ad Enna fece 400 vittime

Nel nostro cimitero venne creato un apposito campo, chiamato “Piano della Spagnola”, dove per circa due anni, dalla primavera del 1918 e fino al tutto il 1919, i morti colpiti dalla peste furono seppelliti come in un “ghetto”. La terribile epidemia si propagò in un baleno. Come in gran parte delle regioni italiane, il morbo infierì anche in Sicilia. Enna non fu immune dal contagio. Eravamo in pieno conflitto mondiale… da lì a pochi mesi i soldati superstiti vittoriosi sarebbero ritornati a casa. Si pensò che potesse avere un nesso con la guerra, invece veniva da continenti lontani. Colpì gli Stati Uniti, l’India e la Cina oltre che i paesi europei. Secondo una recente ricerca fatta in America sulla pandemia influenzale di cento anni fa, oltre 100 milioni furono le vittime in tutto mondo. “In poco più di un anno, la ‘Spagnola’ uccise più persone della Peste nera del XIV secolo”, ha scritto recentemente uno studioso.

Dalla primavera del 1918, in Italia, Francia, Inghilterra, in quasi tutta Europa e anche oltre oceano, nelle famiglie i congiunti vedevano spegnersi ragazzine quindicenni, studenti e giovani operai, senza che le autorità sanitarie potessero fare qualcosa. La febbre pestifera colpì la popolazione giovane, anche adolescenti, soprattutto donne. Nella nostra città le vittime furono tante, circa quattrocento. “Cominciava come una comune influenza, poi sopravveniva una febbre intensa, un malessere diffuso e crescente – si legge in un saggio americano – in pochi giorni il malato aveva una progressiva perdita di funzioni con momenti di delirio; infine entrava in uno stato d’incoscienza e quindi sopraggiungeva la morte”. Nei certificati di morte rilasciati in quei mesi dal medico condotto comunale, non si faceva cenno ad una febbre pestifera, ma a malattie fino ad allora conosciute (dissenteria, difterite, polmonite, infezioni d’ogni tipo), tutte complicanze di solito ricorrenti nelle febbri da virus. Le autorità sanitarie locali, dato l’elevato numero di decessi, attuarono tutte le misure necessarie per evitare il più possibile il proliferare dell’epidemia. Venne approntato presso il nostro ospedale un reparto d’isolamento per gli infetti ed allestito, come detto, un apposito campo nel cimitero per le inumazioni.

Cosicché tutte le persone morte a causa del presunto morbo vennero seppellite nella nuda terra e, a scopo cautelativo, nel tumulo veniva sparsa la calce. Fino agli anni ‘40 il “Campo della spagnola” si presentava tappezzato di croci numerate, con scritto un nome. In seguito fu parzialmente smantellato per far posto ai numerosi caduti civili e militari della seconda guerra mondiale. Infine dagli anni sessanta in poi su quell’area vennero costruite delle tombe e cappelle gentilizie. La notizia certa della pandemia influenzale giunse dalla Spagna, dopo mesi che le autorità sanitarie navigavano nel buio. Fu così che venne chiamata “Spagnola”. Quando a fine conflitto i reduci della grande guerra rientrarono nelle loro case, vissero il dramma della perdita di un giovane figlio o di una figlia adolescente o di un congiunto a causa di un morbo virulento che non dava scampo. Ma si deve alla “Spagnola”, che ha stimolato le ricerche in tutti questi anni, se oggi si sono trovati i rimedi per le difese immunitarie ed i vari vaccini per debellare le ricorrenti epidemie influenzali. Salvatore Presti      

(nella foto: La Peste in una miniatura del XV secolo).

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