Cronaca

Il dramma del padre delle due bambine uccise: “perchè lo hai fatto?”

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Le ho uccise tutte e due”. Vincenzo Trainito, ingegnere, ha appreso così che la sua vita, a quarantotto anni, era già finita. Eppure, ha agito con la determinazione dei valorosi. E’ rientrato a casa – a Gela, in via Passaniti – lì dove la moglie, Giuseppa Savatta, aveva appena massacrato le figlie, Maria Sofia e Gaia – due bimbe di nove e sette anni – con la candeggina e il flessibile della doccia. Ha trovato lei stessa a un passo dalla morte. Appoggiandosi a quello che restava del suo cuore, Vincenzo ha salvato la madre assassina. Poi, ha chiamato aiuto.

Possiamo rivedere la scena con i suoi occhi. L’ingresso. Le bimbe riverse in pigiama – una nella sua cameretta, l’altra in corridoio – soffocate col tubo della doccia, le labbra ustionate dalla candeggina. Pina che urla frasi sconnesse. Solo una è comprensibile: “Le ho uccise, le ho uccise…”. Ha bevuto anche lei della candeggina. Cosa fare? Cedere allo sgomento? Buttarsi per terra e urlare di rimando? Accompagnare la moglie nell’ultima follia? Enzo ha scelto di restare calmo e lucido, prima che le residue macerie del suo mondo gli crollassero addosso.

L’hanno portato altrove. Ha dovuto rispondere alle domande necessarie e impietose suggerite dalla circostanza. Com’era l’esistenza in famiglia? Giuseppa aveva mai dato segni di squilibro? E le bambine, com’erano le bambine? Domande terribili che i carabinieri e il giudice hanno tentato di addolcire, usando la cortesia e la comprensione del caso, con una forma gentile e rispettosa. Ma è la stessa sostanza dei fatti a sputare le fiamme dell’inferno e non esiste riduzione del danno che tenga.

Depressione, la chiamano, per mimare il buio che esplode in pazzia. E sarà vero. Intanto, è già partito il coro: la giostra degli psichiatri d’occasione. Si sono già apparecchiati i salotti dei chirurghi di morbosità che strapperanno le viscere al dolore e rivenderanno pezzettini di sangue e lacrime al grande Bazar Mediatico. E’ successo col piccolo Loris, ucciso a Santa Croce Camerina, succederà ancora. Pure in quella tragedia, si annota la presenza di un grande padre, discreto e devastato: Davide Stival. Intanto, la mamma assassina ha ‘spiegato’ allo psichiatra, dal suo letto d’ospedale: “E’ accaduto per il bene delle mie figlie, per non farle soffrire”. Nel non detto, forse, una imminente separazione. Un passo in più nell’oscurità dell’insondabile.

Tutto è finito in una mattina atroce. La vita se n’è andata, come i sorrisi di Gaia e Maria Sofia che amavano disegnare farfalle. Non ci sarà niente altro in questo interminabile sentiero di ombre con una sentenza scolpita: fine pena mai.

Ora, c’è una donna ricoverata e piantonata che grida ai medici: “Fatemi morire”. C’è l’uomo che l’ha abbracciata e salvata, mentre cercava di uccidersi, in memoria di un antico legame e di una promessa infranta. Lui, Enzo, ha avuto solo il tempo di chiederle: “Perché l’hai fatto? Perché?”.

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