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Comuni: L’abuso delle ordinanze che soffoca la gestione

Il decreto legge adottato dal Governo il 24 marzo (decreto legge 25 marzo 2020, n. 19) è la lampante conferma che il sistema delle autonomie territoriali vigente è caotico e difficilmente governabile.
Certo, l’attribuzione di una serie di competenze a regioni e comuni in particolare è avvenuta in “tempo di pace”, senza che si potesse nemmeno immaginare una pandemia così micidiale come quella scatenata dal Coronavirus.
Ma, questa constatazione, non è di per sé una giustificazione. In effetti, chi ha la gravissima responsabilità di governare un Paese e di determinarne l’assetto ordinamentale avrebbe l’onere di immaginare la tenuta e la semplicità delle cosiddette “linee di comando” anche immaginando situazioni estreme.
Non si tratta di altro di diverso da una valutazione dell’impatto delle norme; attività che, purtroppo, in Italia è prevista in via formale, ma non è mai stata realizzata in modo concreto ed efficace. La riforma del Titolo V della Costituzione adottata nel 2001 lo testimonia, senza possibilità di appello.
In questi mesi il caos normativo ed ordinamentale è stato chiarissimo, non più solo agli “addetti ai lavori” (giuristi, giudici, amministratori locali, dirigenti e funzionari), ma anche ai cittadini e alla stampa generalista.
Mario Ajello, su Il Messaggero del 24 marzo 2020, nell’articolo “Sfida lombarda allo Stato e suoi rovinosi effetti” nota: “E’ sotto gli occhi di tutti ed è una pena che si aggiunge alle altre, lo spaesamento degli italiani che per sapere con precisione ciò che possono o non possono fare, devono incrociare i decreti nazionali con le ordinanze regionali, rischiando di perdere la testa … siamo davanti a spinte centrifughe che possono creare gravi danni al dispiegarsi dell’azione dello Stato. L’unico chiamato a tutelare la salute pubblica”. Su Open.online sempre del 24 marzo 2020 l’articolo “Il decreto coronavirus e l’incertezza del diritto in emergenza” a firma di Giampiero Falasca a sua volta evidenzia: “accanto all’emergenza sanitaria sta venendo fuori un’emergenza giuridica, che ha radici antiche (la complessità è parte integrante della cultura amministrativa di questo Paese da decenni) e può fare molto male al sistema economico non solo oggi, ma anche e soprattutto quando ci sarà bisogno di regole semplici per ripartire”.
Questa improvvisa “scoperta” della scarsa tenuta dell’ordinamento nei rapporti tra componenti cruciali della Repubblica, in particolare Stato e regioni, rende ancora più evidente quanto inutile, controproducente e fuorviante sia stata la cagnara con cui ostinatamente la stampa generalista ha distratto l’opinione pubblica mediante la crociata contro le province.
Il problema era totalmente un altro: una distribuzione pessima dei poteri tra istituzioni, proprio, per altro, nella materia di maggiore delicatezza per tutti: la sanità.
Nella situazione di emergenza, i difetti clamorosi dell’ordinamento sono emersi in tutta la loro gravità. Si è scatenata una poco comprensibile corsa a chi adottasse per primo il provvedimento più “impattante, anche dal punto di vista mediatico. Inutile nasconderlo: la corsa al decreto legge, al D.P.C.M. o anche all’ordinanza è stata anche una corsa ai microfoni, per rubare la scena a chi adottasse il provvedimento dato con maggior ritardo.
L’emergenza evidenzia anche un altro problema irrisolto: la corretta collocazione dei poteri di ordinanza dei sindaci.
All’indomani dei primi provvedimenti di inizio marzo, si è scatenata la corsa alle ordinanze di “recepimento” (come se i comuni fossero Nazioni indipendenti, che “recepiscono” norme di ordinamenti diversi), di “precisazione”, di “attuazione”, di “ulteriori misure”.
Un caos assoluto, che ha indotto il Governo ad adottare una decisione clamorosa, avente un valore di atto di accusa contro quella che potremmo definire “ordinanzite”: l’articolo 35 del d.l. 9/2020, per altro adottato su precisa richiesta della stessa Anci. L’associazione dei sindaci si era resa conto che l’abuso delle ordinanze, il caos creato da esse, doveva essere in qualche modo contenuto.
Il decreto legge adottato dal Governo abolisce quell’articolo 35 del d.l. 9/2020, ma ribadisce la necessità che i sindaci contengano la propensione ad adottare ordinanze, dimenticando che l’articolo 50 del d.lgs. 267/2000 attribuisce tale potere solo per emergenze “esclusivamente” circoscritte alle mura del comune. Ma, il nuovo decreto legge conferma i confini alle ordinanze sindacali e ne detta le condizioni per la validità:

  1. il sindaco con ordinanza potrà introdurre o sospendere, limitatamente al territorio comunale, l’applicazione delle misure di contenimento al contagio, che saranno definite dai D.P.C.M.;
  2. ma, l’ordinanza resterà efficace per sette giorni;
  3. entro ventiquattro ore dalla sua adozione, l’ordinanza del sindaco dovrà essere comunicata alla regione;
  4. la regione è chiamata a confermarne l’efficacia dell’ordinata fino a trenta giorni, rinnovabili.

Insomma, si mette il potere di ordinanza sindacale sotto la “tutela” delle regioni (a loro volta soggette a similare tutela da parte del Governo), almeno per il governo dell’emergenza.
Un segnale del fallimento dell’autonomia, troppo spesso sfociato, appunto, nell’abuso, nello sconfinamento senza controllo dei confini: delle materie, delle competenze, dell’opportunità.
L’Ajello, nell’articolo citato prima evidenzia ancora: “la pretesa di un potere territoriale che sfida l’autorità dello Stato centrale è quanto di più improbabile e di meno garantito si possa immaginare”.
C’è, anche, con ogni evidenza un problema dei supporti amministrativi agli organi di governo. Ordinanze contenenti vere e proprie fughe in avanti non sono certo frutto solo del singolo presidente della regione o sindaco.
Vi sono chiare responsabilità di quegli “esperti” o consiglieri, o componenti dello staff, o segretari comunali o dirigenti, evidentemente non in grado di evitare la “sfida” dei poteri territoriali allo Stato, o perché politicamente connotati e scelti in base a questa connotazione, o perché troppo deboli per condurre l’azione degli organi di governo nel rispetto dei binari corretti, in quanto schiacciati dallo spoil system.
Resta l’evidenza che il sistema, purtroppo portato allo stremo dall’emergenza, non regge e che va rifondato totalmente, sia sul piano ordinamentale, sia sul ridisegno dei poteri e delle competenze e responsabilità dei funzionari pubblici.

Articolo di Luigi Oliveri su Gazzetta Enti locali

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