Politica

“Vecchia Politica, populismi e necessità di fare il proprio dovere”: l’editoriale di Mario Antonio Pagaria

balaguer

Il cosiddetto “sistema” con i suoi atavici limiti politico culturali, con i suoi stereotipi, non riesce a fare il doveroso “mea culpa” e dovendo scegliere un capro espiatorio per giustificare la “debacle” che esso stesso ha determinato, se la prende a trecentosessanta gradi con il Movimento cinque stelle,  sociologicamente non  altro che l’effetto delle numerose concause scatenanti  la sfiducia dei cittadini nei confronti dell’ “ordine costituito” ossia del vecchio modo di fare politica inteso nella sua accezione negativa. La cosiddetta  “Seconda repubblica”, o meglio, i   suoi protagonisti, i suoi leader, Berlusconi, D’Alema, Fini, Casini e Bertinotti, non hanno saputo ricostruire quell’immane patrimonio lasciato in retaggio dai Padri costituenti e quel  pochissimo di buono che  avevano lasciato i loro immediati predecessori, Andreotti, Craxi, Forlani e Spadolini, ma hanno saputo soltanto demolire, dando la possibilità a  tecnocrati del calibro di Amato, Ciampi e Monti,  di disfare l’Italia senza assumersi essi stessi,  quelle responsabilità che  invece avrebbero dovuto assumersi. I primi segnali di dissenso, di contestazione, giunsero negli anni 90 quando alcuni professionisti dell’antimafia,  approfittando dello scontento della gente si fecero antesignani dell’odierno “grillismo”.  I  tempi non erano ancora maturi per giungere alle percentuali “semibulgare” di oggi. Erano coloro che furono definiti gli “integralisti”  della Rete di Orlando e Fava, un coacervo di appartenenze, con percentuali da “zerovirgola” che si dissolsero  come neve al sole quando l’ex sindaco di Palermo confluì tra le file dei Progressisti. Poi fu la volta di Forza Italia e dell’inganno di colui che si rivelò poi un eccellente persuasore ma falso comunicatore, ovvero Berlusconi, appoggiato dalla cosiddetta Destra sociale di Fini e dai cattolici, improvvisatisi  conservatori,  Casini  e Mastella. E fu la volta dell’Ulivo di Prodi,  quindi la Sinistra  e il contrario della Sinistra,  alias tutto e il contrario di tutto, con la stampella di Rifondazione.  Era naturale che si giungesse ad un movimento di protesta. È toccato a Grillo ma poteva toccare anche a Pippo Franco. Non si vuole   difendere il Movimento cinque stelle, tantomeno sindaci come  Virginia Raggi al centro degli  strali di tutti e  non è necessaria nemmeno un’analisi sociologica per capire cosa abbia portato varie categorie di persone a divenire attiviste  del Movimento cinque stelle,  ma  non è vero, come afferma qualcuno,  che si  tratta solo di gente di bassa estrazione culturale, poiché tra loro vi sono tanti intellettuali, alcuni di essi, “attivisti”, come amano farsi chiamare,  altri semplici elettori o sostenitori. Analizziamo un attimo i primi:  la maggior parte gente per bene, con un idea ben definita della politica, con la consapevolezza che la politica, così com’é stata intesa  fino adesso , non  può sussistere, bisogna, quindi, necessariamente cambiarla  e cambiarne molti  attori. La consapevolezza che la vecchia politica, così com’é impostata, è fondata sul “becero compromesso” inteso nella sua accezione negativa, e non sul dialogo che porta alla sintesi positiva,  quello proprio della “polis greca” sta conducendo lo Stato, verso il baratro. Una politica, dunque basata, dunque, come essi stessi, amano affermare, puntando l’indice a casaccio,  sulla disonestà morale e materiale. La disonestá morale è asseverata dalla volontà precisa di “trarre  lauti guadagni”  personali dal praticarla, non esitare a fare accordi per ottenere cariche. La disonestá materiale, è  l’attuazione di idee e progetti contorti per arricchirsi, essa si traduce nella corruzione o nell’abuso d’ufficio, nel voto di scambio o nella contiguità con  le mafie. Sarebbe opportuno che ogni legislatore nazionale e regionale si adoperasse perché anzidette condotte  potessero essere prevenute o quantomeno arginate poiché dilagano ogni giorno che passa. Non esiste più, per dirla con Kant “ la legge morale in me” e parrebbe che quel “cielo stellato in me”  sia definitivamente obnubilato agli occhi di ciascuno. E ciò non si verifica soltanto in politica, ma in tutti i settori sociali: tutti si improvvisano scrittori, giornalisti, medici, avvocati…il risultato? Le persone veramente capaci sono costrette a fuggire all’estero, con buona pace del ministro brontolone. E così, per fare qualche esempio, la fanno da padrone in ogni dove i raccomandati:  negli ospedali,  spesso,  ci si imbatte in dirigenti medici  incompetenti, sulle pagine dei giornali si leggono articoli privi di sintassi, nelle aule di tribunale si incontrano avvocati pavidi e ignoranti. La Società va riletta ed i suoi problemi risolti  in chiave meritocratica, va rivisto anche  il concetto di solidarietà, che va praticata per esigenza e non per moda, andando a rileggere il Welfare e adattandolo alle nuove povertà. Bisogna tenere conto delle nuove devianze dei nostri tempi, le nuove povertá,  il cyberbullismo, la tendenza ad isolare ogni forma di diversità, il falso perbenismo che tanto sta denunziando il Papa. Non si può venire a parlare di lotta ai populismi quando siamo noi stessi ad ingenerarli, ad essere  concausa, con la nostra apatia, della “deriva sociale”. Non possiamo continuare a non scommettere noi stessi, il nostro quotidiano, la nostra vita. No, non possiamo fare i giornalisti e non condannare la mafia, non prendere posizioni contro i mafiosi che sono contigui a certo mondo politico. Non possiamo limitarci a fare i “ copia e incolla” al servizio del “mamma santissima” politico di turno e dimenticare la deontologia, riducendoci a raccontare della festa del paese per far vendere più copie al giornale, dimenticando il povero che bussa alla nostra porta. No, ciò non è più possibile. Abbiamo dei doveri, abbiamo dei carismi, dei talenti da spendere e non da seppellire. Ogni mestiere, da quello del politico a quello del netturbino, ha una deontologia ed essa non può essere calpestata. È la logica, per chi è credente, della santificazione nel proprio lavoro, sono le teorie di un santo, Josè Maria Escrivà De Balaguer (foto), fondatore dell’Opus Dei, ma sono, ancor più ampiamente, le logiche della condotta che dovrebbe tenere ogni cristiano, far bene il “ suo” laddove è stato collocato. E ciò anzidetto non è valido solo per i credenti, ma anche per gli atei, forti, agnostici, pratici e per gli appartenenti ad altre confessioni religiose: ciascun uomo deve fare il proprio dovere nel posto in cui si trova. No, non è importante essere Grillini, Democratici, Destrorsi, è  importante fare il proprio dovere.  Ma nello stesso tempo è deleteria la deriva ideologica. Non può non esistere l’uomo di destra, quello di sinistra è quello di centro, i partiti sono fondamentali e, passato questo momento di  necessaria deriva populista,  è necessario che questi  ritornino. Proviamo a cambiare in questo senso e forse daremo un nuovo impulso  alla Società.

            Mario Antonio Pagaria

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