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Pensioni, da gennaio unificata l’età tra uomini e donne: 66 anni e 7 mesi

Raggiunta la parità tra uomo e donna: quanto meno nell’età pensionabile per la vecchiaia. A gennaio, infatti, sarà operativa l’unificazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne a causa dell’aumento di un anno per le dipendenti private. Tutti andranno in pensione a 66 anni e sette mesi.
Le donne italiane saranno le più anziane d’Europa ad andare in pensione e nel 2019 sarà ancora peggio perché andranno in pensione a 67 anni, età che in Germania si raggiungerà solo nel 2040, in Francia nel 2022 e in Gran Bretagna nel 2028.
Aumenta anche l’età pensionabile per le lavoratrici autonome (adesso fissata a 66 anni e un mese), mentre per il momento rimane ferma a 66 anni e sette mesi quella delle dipendenti pubbliche.
“Il fatto che a gennaio 2018 per effetto della legge Fornero scatti l’unificazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne a 66 anni e sette mesi, è un ulteriore motivo per intervenire sul sistema previdenziale, bloccando lo scorrimento in avanti dei requisiti pensionistici previsti nel 2019 in relazione all’avanzamento dell’aspettativa di vita”. E’ quanto sottolinea il segretario confederale della Cisl, Maurizio Petriccioli, responsabile del dipartimento previdenza. “Il fatto che in Italia l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia sia già la più alta in Europa, deve far riflettere quanti continuano a sostenere un ulteriore allungamento dell’età pensionabile. Tra l’altro, come la Cisl da tempo sottolinea, sono state proprio le donne in questi anni a essere particolarmente penalizzate sul piano previdenziale, perchè hanno dovuto in un breve periodo di tempo adeguare i loro requisiti pensionistici a quelli dei colleghi uomini. Ecco perchè – aggiunge – è più che necessario bloccare un ulteriore scorrimento in avanti dell’età pensionabile, sostenere le misure previste da opzione donna e prevedere, anche attraverso la contribuzione figurativa, una riduzione del requisito pensionistico che riconosca la maternità ed il lavoro di cura in modo da consentire un pensionamento anticipato per tante donne lavoratrici. Questa è una delle richieste del sindacato che porteremo anche domani nel confronto che avremo sui temi della previdenza con il Governo”, conclude.
“La carriera lavorativa delle donne è molto penalizzata rispetto a quella degli uomini. E’ fondamentale che si trovino strumenti che riconoscano questa differenza”. Lo afferma il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli. «Credo che vada riconosciuto – ha detto – il lavoro di cura come ad esempio nel caso della presenza in famiglia di una persona disabile e che si debba tenere conto dei figli avuti. Queste situazioni vanno riconosciute dal punto di vista previdenziale». E’ «largamente insufficiente» invece – ha spiegato – l’ipotesi circolata di uno sconto per l’accesso all’Ape social di due anni sui contributi necessari (che diventerebbero quindi di 28 invece di 30 nel caso delle disoccupate e di 34 invece di 36 per chi è stata impegnata in attività gravose, ndr). «Chiederemo anche di prorogare – ha concluso – l’opzione donna. Gran parte delle risorse stanziate non sono state utilizzate».
L’Italia «è la maglia nera in Europa per l’accesso alla pensione di vecchiaia e le donne sono ancora più penalizzate». Lo afferma il segretario confederale Uil Domenico Proietti «Bisogna – sottolinea – disporre una serie di interventi che introducano maggiore flessibilità in uscita per tutti e eliminino le disparità di genere che penalizzando le donne».
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