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Nuovo Isee, le famiglie vincono il ricorso: l’indennità non è reddito.

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso presentato dal Governo contro le sentenze del Tar:“Indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie non servono a remunerare, ma a  compensare inabilità”,quindi, non possono essere conteggiate come reddito. «Sul nuovo Isee, il Consiglio di Stato» spiega il Presidente della FAND Giuseppe Regalbuto «ha dato ragione alle famiglie con disabilità, respingendo nuovamente l’appello presentato dal Governo. Il ricorso contro il nuovo Isee, insomma, è ufficialmente e completamente vintoe l’appello presentato al Consiglio di Stato dal Governo è stato respinto». “Deve il Collegio condividere l’affermazione degli appellanti incidentali –si legge nella sentenza– quando dicono che ‘ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una ‘remunerazione’ del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l’art. 3 della Costituzione”. Il Consiglio di Stato conferma, dunque,quanto già sentenziato dal Tar del Lazio,il quale aveva respinto “una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale”: in sintesi, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito. E argomenta così il Consiglio di Stato, in merito alla questione di indennità e reddito: “Non è allora chi non vedache l’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una ‘migliore’ situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa”.
«È una sentenza storica» commenta il Presidente della FAND Giuseppe Regalbuto «perché nata dalla volontà di tante persone e famiglie vessate da una legge iniqua e ingiusta e da un Governo che si è mostrato persecutorio nei confronti dei più deboli».La prima sentenza del Tar era immediatamente esecutiva, ma per due anni il Governo ha continuato ad applicare un Isee palesemente ingiusto, che ha creato gravi danni e perfino morti. «Chiedere alle famiglie allo stremo di compartecipare alle spese dell’assistenza» conclude Regalbuto «significa colpire con forza chi forza non ha. Chi ha fatto questa legge ha creato gravi danni economici, ma soprattutto ha leso la dignità di queste persone».
La FAND, guidata dal Presidente Regalbuto, sta lavorando anche sul diritto al reinserimento lavorativo confrontandosi, grazie ai suoi rappresentanti nazionali, con il Ministero, e dedicandosi alla definizione delle linee guida in materia di inserimento lavorativo delle persone con disabilità, in attivazione della delega conferita dal cosiddetto  “JOBS ACT”.
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