Cultura

“La non ripresa economica” di Luca Galante

Galante-Luca

Riceviamo e pubblichiamo:

Prima della crisi del 2008 era facile prevedere che ad un periodo di crisi economica più o meno duro seguisse un periodo di rilancio dell’economia e del lavoro. Oggi non è così e viviamo tutti alla giornata non sapendo se e quando si tornerà a “riveder le stelle” e questa incertezza ha una sola causa: i derivati bancari.

In breve, immaginate di essere un’azienda di dimensioni medio grandi o grandi che opera in un qualsiasi settore industriale e che si occupa di trasformare un qualsiasi prodotto e poi rivenderlo. Una tra tante in tutto il mondo, quando le cose vanno bene investite ed assumete, quando le cose vanno male licenziate e chiudete stabilimenti. Fin qui tutto normale. Logicamente lavorate a stretto contatto con le banche che vi concedono fidi, aperture di credito, prestiti… che vi servono per la vostra naturale operatività, senza, per voi, sarebbe difficile andare avanti ma siete un’azienda sana e non avete mai dato problemi. Da qualche anno però le banche vi propongono di investire i soldi, che voi avreste investito normalmente nella vostra azienda per investimenti, ristrutturazioni o altro, nell’acquisto di titoli finanziari che danno normalmente un margine superiore seppur di poco ad un’obbligazione o ad un titolo di Stato. Questi “titoli finanziari” non sono altro che una piccolissima parte di un enorme derivato che la vostra banca ha acquistato da una banca di affari e che adesso deve rivendere.

Voi tornate nel vostro ufficio, nella vostra azienda, ed esaminate i pro e i contro della proposta:

Pro:

  • diversifico le fonti di guadagno
  • consolido i rapporti con le banche
  • evito investimenti che non necessariamente saranno redditizi
  • investo in attività con un veloce, seppur scarso, ritorno ed a bassa tassazione

Contro:

  • Rischio, alea…

E voi accettate, come tutti. Non ci credete? Ecco alcuni dati: il mercato dei derivati è sostanzialmente il più grande mercato non regolamentato del mondo. Il valore nominale dei derivati finanziari in circolazione è stimato in una cifra pari a 20 volte il valore di tutte le società quotate in borsa in tutto il mondo e nel 2008, anno della crisi, le società a maggiore capitalizzazione di Wall Street traevano già una percentuale tra il 20 ed il 40% del loro reddito da operazioni finanziarie sui derivati. Cosa ha generato a livello globale questa distorsione dell’economia? Tante cose, ma a noi interessa rilevarne solo alcune. Innanzitutto una stagnazione ed un impoverimento dell’economia reale. Senza imprenditori che rischiano e sviluppano non ci sono investimenti, non ci sono nuovi prodotti e non si crea lavoro quindi non si rilanciano i consumi e non sale l’inflazione.

Questa situazione incide sulla produzione di beni che, logicamente, cala, generando ad esempio il calo della produzione industriale cinese che tanto spaventa i mercati in questo periodo, poiché non è soltanto un luogo comune che gran parte dei prodotti di consumo è “made in China”.

Stiamo quindi sperimentando, per la prima volta nella storia, le interazioni tra il mercato finanziario globale e l’economia reale scoprendo che questa interazione non è priva di conseguenze diciamo…spiacevoli. Si è quindi scoperto che le aziende, soprattutto le industrie, devono trarre il loro profitto essenzialmente dal loro “core business” per essenzialmente due ordini di motivi. Il primo è che scendendo la quota di reddito aziendale derivante dalle attività tradizionali si diventa dei clienti peggiori per le stesse banche che ti devono vendere un derivato. La seconda è che non creando lavoro, quindi ricchezza, spingono le persone ad indebitarsi, sfruttando peraltro dei tassi favorevoli. Debiti che difficilmente potranno essere completamente rimborsati stante la mancanza di ripresa, inquinando così, paradossalmente, la qualità dei derivati che le stesse banche vendono. Che questo processo sia già da tempo iniziato è sotto gli occhi di tutti e mi spiego. Al mondo sono poche le banche che creano e rivendono titoli derivati, la maggior parte si limitano ad acquistarne una piccola parte ed a rivenderlo ai clienti più importanti, potremmo dire di livello “confindustriale”. In Europa la più importante è sicuramente la Deutsche Bank, un colosso planetario recentemente salvato dallo stato tedesco con un esborso plurimiliardario e che ha chiuso l’ultimo trimestre del 2015 con oltre 6 miliardi di perdite e limitando gli accantonamenti. Nessuno si è chiesto perché la più grande banca del più forte Paese europeo sia diventato un enorme buco? Un buco tale da rendere dubbio, in questi giorni, il pagamento di una banalissima, per loro, cedola obbligazionaria da poche centinaia di milioni? La risposta è che nei bilanci di Deutsche Bank pesa il deterioramento dei derivati che la banca contava di rivendere e che invece sono rimasti in cassaforte. Qualcuno, fatte le debite proporzioni, si è spinto a paragonare la DB alla Lehmann, la banca il cui fallimento fu il simbolo della crisi del 2008 dalla quale ancora non riusciamo ad uscire ma, a mio avviso, sfugge una differenza. Nel 2008 le persone non poterono pagare i mutui subprime, che costituivano una parte importante dei derivati, perché avevano un tasso di interesse esorbitante e questo portò all’esplosione della bolla immobiliare negli USA, oggi non riescono a pagare i debiti, seppur contratti a bassi tassi di interesse, perché non trovano lavoro o lo perdono. Questo discorso vale per molti Paesi europei. Vale meno per gli USA che hanno da subito, al contrario dell’Europa, praticato politiche anticrisi efficaci e non vale per l’Italia il cui sistema bancario, essendo sottodimensionato, è meno coinvolto nel mercato dei derivati, sebbene il governo con la sua politica di aggregazioni bancarie faccia di tutto per farcelo entrare. Ricordo, a puro titolo di cronaca, che una singola operazione mal gestita di un istituto di credito italiano con un singolo derivato ha causato di fatto un uragano nelle stanze di quell’istituto (MPS).

Il problema delle banche italiane è essenzialmente riconducibile alla qualità dei finanziamenti erogati. Più semplice da spiegare e un po’ più provinciale. A causa della crisi e anche per tanta incompetenza le banche hanno concesso prestiti commerciali, quindi solitamente non coperti da garanzia reale, a persone o società che non li hanno restituiti e si sono trasformati in “sofferenze bancarie” che sono più o meno gravi a seconda della difficoltà a rientrare del credito stesso. Poichè questo parametro alla fine è sostanzialmente soggettivo (ogni banca decide in buona sostanza caso per caso sulla difficoltà di riscuotere il credito) non si riesce a stabilire quanti crediti nei bilanci bancari siano realmente, seppur difficilmente, esigibili e quanti siano carta straccia. Il governo si è adoperato con la Commissione Europea per valutare l’ammontare delle sofferenze bancarie su una cifra vicina ai 20 miliardi, impegnandosi a fornire una minima garanzia statale pur di eliminarli dai bilanci delle banche e metterli sul mercato. Al di là della considerazione che ben pochi potrebbero acquistare dei crediti che neanche le banche sono riusciti a riscuotere anche fortemente svalutati, la cifra reale dei crediti inesigibili delle banche italiane, secondo molti dovrebbe essere più vicina ai 250/300 miliardi di euro. Se questa cifra fosse corretta e pesasse, idealmente per ora, sui bilanci delle banche riducendone il valore si spiegherebbe il comportamento del mercato azionario che abbassa costantemente il valore delle azioni dei titoli bancari e ricordate che “i mercati non sbagliano mai” (Livermore) e si spiegherebbe anche perché è impossibile, per un comune mortale, aprire una linea di credito commerciale presso una qualsiasi grande banca, mentre il mercato dei mutui casa (garantiti da ipoteca e rivendibili ad una banca di affari) è in lieve ripresa. Considerando questo quadro e la scarsa ripresa è facile immaginare che i giochi di prestigio contabili con cui le banche trasformano i crediti inesigibili possano non funzionare per sempre con l’aumentare di questi crediti e con la legge sul bail in i debiti delle banche potremmo finire con pagarli noi. Inverosimile? Esagerato?… e Banca Etruria?

 

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