Cultura

Diocesi di P. Armerina: Festa di San Giuseppe tra fede e carità, devozione e folklore

Si rinnova anche quest’anno la festa di San Giuseppe con il tradizionale allestimento delle “Cene” in onore del Santo Patriarca. Il Comune di Gela sta sponsorizzando l’evento che attira diverse persone anche dai paesi limitrofi. “La venerazione a San Giuseppe non è legato solo a un discorso devozionale – afferma don Lino di Dio, Rettore della Chiesa di Sant’Agostino – ma a un risvolto pratico che è quello della carità. Rispettando la tradizione abbiamo chiesto alle famiglie di non pensare solo ai tre personaggi canonici Giuseppe, Maria e Gesù, ma devolvere una parte della “Cena”  ad altri poveri, se tutto viene fanno nella discrezione e nel silenzio, la carità si espanderà per tutta la città, ridando un pò di sollievo ai più piccoli. Abbiamo chiesto di non sperperare soldi in dolci freschi e frutta fuori stagione destinati a deteriorarsi ma a preferire alimenti a lunga conservazione, detersivi e prodotti per l’igiene della persona. Le cene allestite saranno ventisette, diciassette in abitazioni private e le rimanenti in alcune chiese e associazioni”. Anche quest’anno la Piccola Casa della Misericordia sta organizzando la Cena che sarà allestita nella Chiesa di                     San Francesco di Paola. Nei giorni a seguire, saranno consegnati i pacchi alle oltre 700 famiglie che il Centro assiste o quelli che chiederanno.

 Celebrazioni liturgiche nella Chiesa di Sant’Agostino 

Nella Chiesa di Sant’Agostino, dove si venera San Giuseppe, il 17 alle ore 18:00 inizierà la Celebrazione Eucaristica presieduta da don Bruno Ognibeni dell’Istituto Giovanni Paolo di Roma. Domenica 18 marzo alle ore 20:30, il Vescovo Mons. Rosario Gisana presiederà la Celebrazione Eucaristica con i papà. La chiesa, la tavolate dei pani e di san Francesco di Paola rimarranno aperte fino alle ore 2:00. Il 19 alle ore 8:30 è prevista la Celebrazione Eucaristica, seguirà alle ore 10:30 la Santa Messa dei Patriarchi, tutto si concluderà con la solenne celebrazione Eucaristica delle ore 18:00 e la distribuzione del pane benedetto.

 Cena dei pani a Sant’Agostino.

Nel salone della Chiesa Sant’Agostino verrà allestita la tavolata dei pani di San Giuseppe, tradizione ripresa dal Medioevo. Il banchetto prevede l’esposizione di 52 forme di pane ed è allestito con sette gradoni che rappresentano le sette gioie e i sette dolori di San Giuseppe, arance e limoni. In origine, infatti come avviene ancora in alcune parti della Sicilia, la tavolata in onore del Santo prevedeva solamente la cosiddetta “Cena dei pani” con diverse forme, ognuno dei quali rappresenta un aspetto simbolico della vita del Cristo, di San Giuseppe e della Vergine Maria.

 Elenco delle Cene di San Giuseppe 2018

Salvatore Schembri – via Legnano 13,

Gessica Pagano – via Juvara 5,

Vincenzo Alecci – via San Carlo 15,

famiglia Marino e Cannizzaro – via Guido delle Colonne 1,

Zaira La Mattina – via Lipari 27,

Elison Azzolina – via Camillo Goggi 10,

Angela Zafarana – via Emanuele Guttadauro 44,

famiglia Valenti Lucia e Raniolo Maria – via Monterosa  5,

Erica Salsetta – via Appia 8,

Stefania Palumbo – via A. Ligabue 60,

Giuseppe Nicastro – via Taormina 8,

Rocco D’Arma – via Adriana 8,

Gaetano Biundo – via Bogotà 6,

Alessia Cassisi – via Nettuno 9,

Giovanni Perna – via Banti 6,

Adele Scicolone – via Monza 312,

Francesco Agati – via Belgio 27

Parrocchia San Francesco d’Assisi – Piazza San Francesco

Parrocchia San Domenico Savio – Piazza don Bosco

Parrocchia San Rocco – Via Bramante

Parrocchia Santa Maria di Betlemme – Piazza Madre Teresa di Calcutta

Parrocchia San Sebastiano – Piazza Santa Faustina

Istituto Suor Teresa Valse’, – Viale Cortemaggiore, 132

Istituto don Minozzi – Via Europa, 54

Rsa Caposoprano – Via Francia, 4

Piccola Casa della Misericordia – Chies San Francesco di Paola

Chiesa Sant’Agostino – Piazza Sant’Agostino, 26

Origine della cena di San Giuseppe a Gela

Le origini della Cena di San Giuseppe si perdono nel tempo, ma il rito, che si tramanda di generazione in generazione, conserva ancora il valore della tradizione e continua a testimoniare il fascino incantato della spontaneità dei cuori e della nobiltà dei sentimenti verso i fratelli in difficoltà.
Con l’allestimento della “Cena” si scioglie una promessa fatta al Santo per grazia ricevuta, si assolve a una richiesta fatta dallo stesso Patriarca in sogno, si adempie un voto fatto per fede e si segue la tradizione che ha, da sempre, un cerimoniale, fatto di gesti, preghiere, canti e pietanze legate ad una simbologia assai complessa.

La Cena di San Giuseppe, folklore e rito insieme, è una dimostrazione esteriore di religiosità autentica, spontanea, singolare e piena di valore antropologico, che si arricchisce con la solidarietà e la fratellanza insite nella natura sociale di ogni uomo.

    Tutto ha inizio dopo le feste natalizie, quando coloro che hanno fatto il voto iniziano la questua penitenziale, attraverso cui si raccolgono fondi per l’acquisto del materiale utile all’allestimento della Cena e dei generi alimentari che verranno poi consegnati a tre famiglie povere: in passato, quando il voto era fatto pubblicamente, la raccolta porta a porta per le strade della città veniva fatta a piedi scalzi.

    L’allestimento della Tavolata, che richiede parecchi giorni di lavoro, coinvolge tutta la famiglia e gli amici: gli uomini montano l’impalcatura di legno, rigorosamente composta di sette gradini, che rappresentano le sette gioie e i sette dolori di San Giuseppe; le donne, invece, preparano le pietanze e predispongono con cura e creatività la sala, ornandola con lenzuola di filo, tovaglie di pizzo, fiori e decorazioni varie. La fatica dei preparativi viene offerta come tributo d’amore alla Famiglia di Nazareth.
Le pietanze della “Cena” possono essere cotte o crude, in base ai piatti proposti. Nel rispetto della Santa Quaresima, in cui solitamente cade la solennità di San Giuseppe, si evita la carne. Oggi, si è diffusa l’abitudine di mettere in tavola solo alcune pietanze della tradizione gelese: l’uovo sodo, la pasta con i legumi, tradizionalmente chiamata “a pasta co’ maccu”, il misto fritto di pesce e i carciofi farciti con mollica di pane, olio, aglio e prezzemolo, la frittata, l’arancia, il limone, il vino e il pane.

    Il 18 marzo, a mezzogiorno, tutto deve essere pronto per l’apertura e la benedizione della “Cena” da parte del sacerdote e, da quel momento, inizia il lungo pellegrinaggio dei fedeli che fino a notte fonda visitano le tavolate in giro per la città, e a cui vengono offerti, in segno di ospitalità, ceci, fave e pane, simbolo dell’abbondanza.

   In tarda serata si recita il Rosario o il Sacro Manto di San Giuseppe, accompagnato da antiche preghiere tradizionali in dialetto nell’attesa che, come la tradizione vuole, irrompa nella casa “a palummedra”, una falena che per i fedeli cristiani rimanda alla colomba dello Spirito Santo e, dunque, alla compiacenza del Cielo. La notte continua con un momento di festa e di condivisione, durante la quale, in passato, tra un ballo e un altro, si formavano coppie di fidanzati; per questo motivo, San Giuseppe è invocato anche come u “Patri de schetti”, protettore cioè dei single.
Per cogliere il profondo valore religioso delle Tavolate di San Giuseppe bisogna comprendere il simbolismo del pane e dei dolci, che richiamano il rapporto tra l’uomo e Dio e rimandano alle meraviglie del Creato, secondo un criterio allegorico ben definito. La tradizione, vuole infatti, che abbiano forme particolari e sono dedicati alcuni a    San Giuseppe, di cui raffigurano gli attrezzi da lavoro (bastone, serra, martello e scala), altri alla Vergine Maria         (la stella, il cuore, la luna e la palma), altri ancora al Bambino Gesù (il sole, la mano, la croce, il gallo, e il cestino). Non possono mancare nella Tavolata le primizie di stagione.

       Il giorno della Solennità di San Giuseppe, dopo aver partecipato alla Messa dei Patriarchi nella Chiesa di Sant’Agostino, i tre poverelli raffiguranti la Sacra Famiglia, solitamente vestiti con costumi d’epoca, si avviano verso le case dove sono state allestite le Tavolate, e dopo aver bussato ed essere stati rifiutati per ben due volte alla porta della famiglia presso cui saranno ospitati, gesto che rievoca il rifiuto in terra d’Egitto, bussano per la terza volta ed entrano, a mezzogiorno in punto, nella sala dove è stata allestita la Cena, al grido festante e gioioso di “Viva Gesù, Giuseppe e Maria”, dando così inizio al pranzo.

    Colui che interpreta San Giuseppe tiene in mano un bastone che termina con dei gigli, in ricordo del miracolo che, secondo i Vangeli Apocrifi, avrebbe consentito di individuare Giuseppe quale sposo della Vergine Maria.

    A lui spetta il diritto di governare il rito, ovvero decidere quando finire di mangiare la pietanza battendo tre volte la forchetta sul bordo del suo piatto. A questo segnale, devono smettere di mangiare e passare alla pietanza successiva, servita dai componenti della famiglia; è tradizione, ma solo con il consenso di San Giuseppe, offrire dei dolci ai fedeli. Alla fine del pranzo, dopo un breve momento di preghiera, i tre poverelli portano via con sé tutto ciò che è rimasto.  Il rito si conclude con l’offerta a tutti della tradizionale pasta con i legumi, chiamata “a pasta che virgineddri”.                 (don Pasqualino di Dio – Rettore di Sant’Agostino in Gela)

 

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