Politica

Micari resta con il “civismo in mano”, gli restano solo gli apparati politici

Alla fine è rimasto col civismo in mano. Doveva essere lui l’espressione di un grande e nuovo progetto, di un campo largo larghissimo che pescasse nella società, fuori dai partiti. E invece, a Fabrizio Micari sono rimasti proprio i partitiSolo quelli.

Anche perché il campo largo, larghissimo, si è ristretto. Eccome. Doveva esserci un’armata, al fianco del rettore, il cui nome avrebbe dovuto svegliare, come secchi d’acqua fresca, pezzi di società assopiti. Dovevano esserci i giovani di “Generazione Next”, un “contenitore politico” che, secondo Micari, “se riempito in maniera corretta – diceva – potrebbe tranquillamente diventare la sesta lista a sostegno della mia candidatura. Perché sono proprio queste le persone che vorremmo finalmente coinvolgere per attuare un auspicabile ricambio della classe politica”, le persone che “non vogliono stare a guardare”. E invece, a guardare resteranno eccome, visto che la lista non vedrà nemmeno la luce. La sesta lista, in realtà, presto sarebbe diventata la quinta. A Crocetta, infatti, i partiti hanno chiesto il sacrificio di riporre il Megafono nel ripostiglio e di puntellare la lista-simbolo del civismo: quell’Arcipelago che Orlando ha voluto, dimenticandosi di riempirlo di candidati.

A conferma di come il “civismo” fosse solo un bluff. Smascherato proprio dalla disperata (o maliziosa) decisione di chiedere a Crocetta di intervenire. Crocetta, cioè il politico da qui i sostenitori del progetto civico, tra cui appunto Leoluca Orlando, Davide Faraone e Totò Cardinale, avevano chiesto di segnare la “discontinuità”, la rottura. Insomma, non solo il progetto civico è stato riempito di gente scelta dai partiti e dalla politica (compreso il Pd, in particolare l’area renziana), ma la politica in questione è anche quella nei confronti della quale Micari, con la sua presenza e il suo curriculum, avrebbe dovuto scavare un solco.

Macché. Il fallimento assai probabile della Lista Arcipelago – a prescindere dalle pronunce del Tar – è il fallimento del “modello Palermo”. Lo è in maniera evidente e non solo per quello che si è detto. A Siracusa, ad esempio, la lista non viene nemmeno presentata, a causa delle “liti” tutte interne alla coalizione che hanno il profumo della vecchia spartizione politica: l’uomo del sindaco Giancarlo Garozzo, a sua volta fedelissimo di Davide FaraoneGaetano Cutrufo, non doveva correre con la lista “Micari presidente”, e così finirà addirittura con la lista di Alfano.

A Messina, il pasticcio, ancora da chiarire nei suoi contorni politici, che ha fermato la corsa del governatore e del suo assessore Aurora Notarianni. Ma anche a voler guardare le altre Province, il quadro è sconfortante: ad Agrigento, ad esempio, non si è riusciti a mettere insieme, a differenza di quanto fatte dalle altre liste, anche quelli minori, sei candidati per formare la lista. L’elenco contiene solo tre aspiranti deputati. E tre saranno anche a Ragusa, dove la Lista Micari presidente non è riuscita a presentare, a differenza persino di tutti gli altri, il numero di candidati massimi previsti, cioè quattro.

Questo rimane del movimento civico di Micari. E così, attorno al rettore, che nel corso delle febbrili trattative per la chiusura della lista avrebbe anche manifestato i propri dubbi, alla fine resta solo la politica. Il Partito democratico, in tutte le sue articolazioni, e rappresentato, nelle liste, da politici di professione, in qualche caso a caccia della quinta o sesta legislatura. C’è poi il movimento di Totò Cardinale (Sicilia Futura), zeppo di quegli esponenti politici che Orlando avrebbe presto etichettato come simboli della “palude”, se solo si trovassero dall’altra parte. E c’è la lista di Alternativa popolare, che nel frattempo ha visto fuggire, nel solito, puntuale e criticabile rito del salto del fosso, militanti e dirigenti, portatori di voti e consensi. Lasciando intatto, fatte le dovute eccezioni, solo il cosiddetto “ceto politico”: ministri (o ex), sottosegretari (o ex) a puntellare il progetto di Micari. Alla fine, del “modello Palermo” resta solo il rettore. Col civismo in mano.

In alto