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74° Anniversario della Battaglia di Troina, di Fabio Venezia

guerra

Dopo la caduta di Leonforte, Nicosia ed Agira, le difese tedesche si ritirarono verso Troina. La città, arroccata su un’altura, divenne l’ultimo baluardo settentrionale della linea difensiva dell’Etna. Qui, già il 19 luglio, fu trasferito il comando di divisione della «Livorno» e disposto lo spostamento di alcuni elementi italiani della sanità e del nucleo di sussistenza. I tedeschi, già a fine luglio erano arretrati fino a San Fratello, ma la contemporanea avanzata su due fronti, americana e canadese, costrinse il generale Hube a dare ordini per un ulteriore arretramento verso Messina. La prima divisione americana del generale Allen, dal momento del suo sbarco a Gela si mosse velocemente sugli obiettivi della Sicilia centrale, conquistando già il 17 luglio Piazza Armerina, il 20 Enna e altri comuni limitrofi. Il 30 luglio, mentre la 45ª divisione statunitense era duramente impegnata dalle retroguardie tedesche e italiane sulla fascia costiera settentrionale dell’Isola, nei pressi di Santo Stefano di Camastra, la 1ª divisione puntò su Troina. La 15ª divisione Panzergrenadier del generale Rodt, dopo una serie di
arretramenti verso est, si fermo a Troina, dove predispose una delle più agguerrite difese della campagna di Sicilia. Agli accaniti attacchi americani facevano seguito furiosi
contrattacchi dei reparti italo-tedeschi. Lo storico ufficiale americano della campagna, ammiraglio Morison, scrisse che a Troina «la 15ª divisione tedesca e la divisione Aosta
contrattaccarono non meno di 24 volte».
I gruppi tattici tedeschi, appoggiati dall’artiglieria italiana delle divisioni Aosta e Assietta, resistettero per cinque giorni, dall’ 1 al 5 agosto, all’offensiva americana e ai continui bombardamenti alleati che su Troina scaricarono centinaia di tonnellate di bombe. In quei giorni gli americani attaccarono con quattro reggimenti di fanteria appoggiati dalle bocche da fuoco di quindici battaglioni d’artiglieria e cinque battaglioni di
semoventi. L’intera valle si trasformò in un inferno. Squassati dalle esplosioni, tormentati dal caldo e dalla sete, i fanti USA soffrirono molte perdite e furono costretti a ripiegare su
posizioni di partenza. Il generale americano Allen, che comandava la 1ª divisione, la Big Red One, ebbe il rinforzo di un altro reggimento di fanteria e di altre folte unità di carri e di
artiglieria. I cannoni aprirono un intensissimo fuoco con granate al fosforo, mentre le formazioni di cacciabombardieri si avvicendarono freneticamente su quel settore.
Il 4 agosto le strade di Troina si trasformarono in un inferno. Sull’abitato vennero sganciate dai bombardieri Alleati centinaia di bombe di oltre due quintali, che distrussero
completamente ciò che fino a quel momento era rimasto in piedi. Morirono tanti civili, moltissimi rimasero feriti. Il giorno successivo un’ulteriore offensiva americana costrinse
gli ultimi tedeschi rimasti in città a ritirarsi verso Cesarò. Quando le forze dell’Asse si ritirarono da Troina, il I° battaglione del V° Aosta era ridotto a 170 uomini. La 15ª
divisione Panzergrenadier perdette in quei giorni nella battaglia di Troina circa 1600 uomini, ossia il 10% dei suoi effettivi, pari al 40% delle truppe combattenti in linea. Moltissime furono anche le perdite della 1ª divisione americana.
Il mattino del 6 agosto gli effettivi della retroguardia avevano lasciato Troina e le postazioni sulle sue montagne. Verso mezzogiorno le prime truppe di Allen entrarono nella cittadina abbandonata e distrutta. Dei dodicimila abitanti che costituivano la popolazione ne erano rimasti veramente in pochi. L’orribile scena che accolse gli americani è descritta da un corrispondente statunitense: «[…] una vecchia con aria spettrale che era distesa tra calcinacci e travi di legno spaccate […] tendeva le mani verso di noi, fissandoci
con occhi che non vedevano, e i suoi lamenti erano simili al fruscio del vento tra i pini. Ci dirigemmo verso la chiesa. La luce splendeva attraverso un foro sul tetto. Sotto di esso una
bomba inesplosa di più di due quintali giaceva sul pavimento. Un soldato americano mi sussurrò nell’orecchio: ‘Dio, questo è stato un miracolo…’. Nell’ufficio del Podestà trovammo alcuni feriti che i nostri soldati avevano trascinato fuori dalle macerie. Su una panca di legno era disteso il magro corpicino di una ragazzina di circa dieci anni. I suoi capelli neri erano striati di polvere di gesso grigia. Una delle sue gambe era completamente avvolta in bende con cui l’aveva fasciata la nostra compagnia. Nelle mani stringeva un biscotto che le aveva dato un soldato. Non si muoveva e fissava il cielo. Su un’altra panca sedeva un ragazzo di circa tredici anni, con indosso solo un paio di mutande. Sul suo corpo c’erano cicatrici rosse nei punti in cui era rimasto ustionato. I nostri medici non avevano pomate per le bruciature, così il ragazzo sedeva là tremando dalla testa ai piedi; e soffriva
terribilmente. Per un bel pò rimase zitto, ma infine le sue labbra incominciarono a tremare e il suo corpo fu scosso da forti singhiozzi […]».
La popolazione, pur con molta sofferenza, dovette rifugiarsi per molti giorni nelle campagne o in alloggi di fortuna (e in condizioni impossibili) per cercare riparo dalle incursioni aeree. Molti civili, tra i quali parecchi bambini, non prevedendo che Troina dovesse essere il centro nevralgico dei combattimenti della «Linea dell’Etna» e fiduciosi di un
rapido passaggio del fronte, rimasero in città perdendo la vita (circa 116); moltissimi furono anche i feriti. Quasi tutta la rete viaria interna e gli edifici pubblici, comprese anche molte
chiese (Cattedrale, San Sebastiano, San Silvestro, Santa Lucia, Collegio di Maria), furono danneggiati, più o meno pesantemente, dai bombardamenti. Nemmeno il Cimitero fu
risparmiato dalle incursioni. Interi nuclei abitativi furono quasi rasi al suolo. Non mancarono, durante i giorni dei combattimenti, atti di crudeltà da parte dei soldati tedeschi.
Un civile, nel tentativo di scampare dinnanzi al furore della guerra, fu ferito alle spalle da un colpo di fucile esploso senza alcun motivo da un soldato dell’Asse. Nell’agro troinese, precisamente in contrada Caiola, una famiglia contadina, nonostante la penuria di generi alimentari, fu costretta con la forza a preparare per tre volte il pane per i soldati tedeschi; il
capo famiglia, poi, fu intimato sotto minaccia a condurre i militari nel luogo in cui aveva nascosto il bestiame per metterlo a disposizione degli stessi.
La popolazione superstite, pur con enormi difficoltà di ogni genere, mostrò un enorme senso civico. Alcuni troinesi, infatti, aiutarono gli infermieri e i cappellani del 26° Reggimento soccorrendo i numerosi feriti civili e militari e provvedendo al seppellimento delle vittime. Altri cittadini, nonostante il momento triste della guerra, prestarono aiuto a chiunque ne avesse bisogno, indipendentemente dalla nazionalità. Una donna, nascosta durante i bombardamenti assieme ad altri civili per una settimana in un’angusta grotta in contrada Mannia, avendo frequentato un corso di crocerossina, fasciò il braccio gravemente ferito di un tenente italiano rimasto prigioniero degli americani. Un soldato italiano gravemente ferito ad una coscia fu ospitato e curato per tre giorni da un gruppo di abitanti del quartiere San Basilio. Altri soldati italiani furono ospitati e curati dai civili. Un pilota americano, dopo aver effettuato un atterraggio di fortuna in contrada Feudo
Grande, fu ospitato sino a notte da una famiglia troinese; come segno di riconoscenza per l’aiuto ricevuto voleva donare il suo anello di laurea alla famiglia, la quale, nonostante
l’indigenza, rifiutò l’omaggio. Un cittadino troinese, per punizione perché fascista, fu obbligato dagli americani a soccorrere tre tedeschi giacenti nei presi dei ruderi del
monastero di San Michele; al ritorno, un americano appostato con una mitragliatrice sulla strada statale sparò contro il gruppo uccidendo due dei tedeschi e ferendo il terzo che poi
fu prontamente soccorso dai civili.
Non mancarono neanche atti di eroismo e patriottismo. Nella mattinata del 6 agosto, un gruppo di cittadini, ormai stanchi e oppressi dalla furia devastatrice della guerra, al fine
di evitare altri bombardamenti che avrebbero ulteriormente danneggiato la città e mietuto nuove vittime, decisero con grande coraggio di andare incontro alle pattuglie situate
all’ingresso del paese agitando un lenzuolo bianco. Esposti al tiro delle granate, invitarono i soldati americani, ormai decisi a radere al suolo la città, a sospendere i bombardamenti
poiché i tedeschi avevano abbandonato Troina. Appresa la notizia, i soldati americani avvertirono con il radiotelefono il Comando e fecero cessare ogni altro atto di ostilità. Un contadino troinese, rischiando la propria vita, disseppellì centinaia di mine che i soldati dell’Asse avevano in precedenza disseminato nelle contrade Crisafe e Muto, evitando così ulteriori e inutili spargimenti di sangue. Per questo episodio e per aver fornito utili informazioni ad ufficiali statunitensi fu brutalmente mitragliato dai tedeschi.
Le tragiche e sanguinose operazioni belliche inflissero a Troina e ai suoi abitanti una ferita insanabile, e tuttora rimangono delle tracce incancellabili nella memoria di coloro i
quali vissero di persona quegli orribili eventi. Il popolo troinese, vittima di questa brutale esperienza, è stato sempre molto sensibile ai valori della pace, della libertà e della democrazia. Difatti, già nel referendum del 1946, quando gli italiani furono chiamati a scegliere tra monarchia e repubblica, Troina fu una delle pochissime città siciliane a preferire quest’ultima con il 63,43 % dei voti.

Fabio Venezia

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