“George” di Pasquale Cavalera.
Era visibilmente bagnato di piscio. Jeans chiari e chiazza scura. Del tutto improbabile che si fosse schizzato con dell’acqua nel mentre lavava le mani. Uscì dal bagno a testa china, concentrato nell’intento di sollevare la zip dei calzoni. Questo gli provocò un leggero movimento ondulatorio che lo fece barcollare dapprima in maniera impercettibile, poi sempre più vistosamente. Finì per terra, disteso tra i tavoli, con le scarpe imbrattate di terra rossa proiettate per aria.
Ebbe una reazione istintiva, forse di vergogna, trasmetteva come l’impressione di non essere abituato ad assumere comportamenti di quel genere. Si sollevò in tutta fretta da terra, allargò le braccia mostrando ai tizi seduti ai tavolini il palmo di entrambe le mani e si giustificò seccato «Sto bene, sto bene, sto bene, grazie. Ho tracannato una birra gelida e ho avvertito un leggero sbalzo di pressione, non sono ubriaco. Tranquilli». Non era assolutamente vero, da dietro al bancone il barista indicò con un movimento impercettibile del capo la sesta pinta ancora per metà nel boccale. Ed erano ancora le ventuno di un mercoledì sera anonimo.
Scuro in volto, lunga barba incolta, testa calva, di certo non aveva più di quarant’anni, anche se ne dimostrava molti di più. Svuotò anche l’ultimo bicchiere, pagò in cassa, si scusò con il titolare per l’accaduto, puntò la porta e con passo lento ed incerto la raggiunse sulle sue gambe.
Non riuscì però a trattenere l’impulso soffocante che prepotente risaliva ad intermittenza il suo esofago e prima di uscire per strada, rigurgitò sull’ampia vetrata posta all’ingresso del locale ogni eccesso di una serata cominciata male e finita ancor peggio. Si scusò nuovamente, poi sparì.
Neppure un solo cliente diede l’impressione di nutrire fastidio per quello che era appena accaduto. Al contrario, si diffuse tra i tavoli un alone di amore fraterno e tutti, ad esclusione di nessuno, cominciarono a discutere con tono raccolto scambiandosi vicendevolmente informazioni su quell’individuo dalla disgustosa apparenza. Ci fu chi si scoprì amico, chi parente, chi compagno delle elementari, chi addirittura suo cliente. Non una parola fu spesa contro la sua persona.
Questo perché il Signor Giovanni era uno stimato Architetto, oltre che un cittadino esemplare ed in città in tanti lo conoscevano per la sua tecnica infallibile. Quella sera si trovava di ritorno dalla campagna, quando decise di annegare la sua malinconia in quel pub. Aveva da qualche ora seppellito George, un ictus lo aveva stroncato all’età di diciassette anni. Era il suo leale cagnolone, fonte inesauribile di serenità, la gioia pura con cui scacciava via ogni forma di malessere, il suo unico ed inseparabile compagno di una vita.
George, di Pasquale Cavalera. Breve racconto tratto dal libro “Lo vidi”