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Si commemora l’operazione Husky. Di Giuseppe Maria Amato

Si commemora l’operazione Husky. Nel 1943 le truppe anglo-americane, con contingenti canadesi, inglesi, statunitensi, sbarcate a Gela entrano in Sicilia e puntano in diverse direzioni una delle quali, affidata proprio al contingente canadese, vede Enna e la sua provincia come luogo di conquista. L’attacco è stato preceduto da una pesantissima serie di bombardamenti che mette in ginocchio la maggior parte delle città siciliane già ampiamente in sofferenza per le condizioni nelle quali una sciagurata partecipazione alla guerra aveva costretto l’Italia tutta.
Le truppe oggi salutate amichevolmente, allora entrarono con ben altre attitudini. Si combattè metro dopo metro e con metodi non di rado efferati.
Un caso tra tutti il massacro di Biscari nel quale, su preciso ordine di Patton, il 14 luglio 1943 vennero uccisi 76 prigionieri di guerra italiani e tedeschi.
Patton aveva scritto alle truppe le seguenti disposizioni: «Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali! »
Già il 10 luglio, a Vittoria, erano stati uccisi 12 civili tra i quali il Podestà della cittadina e suo figlio, reo di averne tentato la difesa con il suo stesso corpo.
Il massacro di Biscari si attuerà in due fasi, la prima con la resa di un gruppo di avieri ai quali furono tolte le calzature e le divise e che poi vennero fuciliati su ordine del capitano Compton (tra gli avieri il campione olimpionico tedesco Luz Long), la seconda quando un folto gruppo di prigionieri, già disarmati ed organizzati per essere portati in campo di prigionia, venne trucidato a colpi di mitraglia dal Tenente West.
Dei due gruppi si salvarono solo 3 militari italiani, due fuggiti per le campagne ed uno fingendosi morto dopo aver ricevuto persino il colpo di grazia alla tempia.
La guerra, signori, è guerra. Non ha umanità, non va letta mai a senso unico men che meno con le parole e i sentimenti dei vincitori. Mi commuovo quando passando dal cimitero canadese di Agira leggo le date di nascita e morte di giovinetti finiti nei nostri campi a 18, 19, 20 anni, ma come loro e senza alcuna distinzione, vanno ricordati gli altri macellati da uno scontro che non certo era da loro voluto.
Commemoriamo la pace!

Giuseppe Maria Amato

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