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Tari e rimborsi sulle pertinenze: le indicazioni del Dipartimento Finanze del MEF

La questione è nata a seguito della risposta fornita in occasione di un question time, a novembre, a Montecitorio, dal sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta.

L’esponente del Governo nazionale, in quell’occasione, ammise che molti Comuni avevano calcolato e richiesto in maniera errata il tributo riguardante la raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, specificatamente per quanto riguarda la parte variabile applicata alle pertinenze delle civili abitazioni.

Se la quota variabile è calcolata erroneamente, allora al contribuente potrà spettare il rimborso presentando una richiesta in carta libera al Comune, contenente tutti i dati necessari.

Per governare i rimborsi, secondo il Dipartimento delle entrate, se l’Ente ha realmente remunerato, con il gettito della tassa, esattamente il costo del servizio, le modalità con cui procedere alla copertura delle somme rifuse ai contribuenti rientrano nella sfera di autonomia di ciascun ente locale.

Nel nuovo Piano finanziario, però, è possibile riportare per intero solo l’eccedenza di gettito e non già lo scostamento negativo tra quanto preventivato e quanto effettivamente risultante a consuntivo.

Secondo l’interpretazione del Dipartimento, quindi, non è possibile riportare nel nuovo Piano finanziario del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani il deficit determinato dal rimborso della Tari non dovuta.

I Comuni interessati, quindi, dovrebbero rimodulare le tariffe Tari riguardanti le annualità in cui il computo della parte variabile è stato effettuato in modo erroneo, senza incidere sull’importo complessivo del Piano finanziario.

 Per quanto riguarda tale soluzione, il Dipartimento ha precisato che l’operazione prospettata deve essere contenuta nei limiti consentiti dai principi generali in materia di autotutela amministrativa sanciti dalla legge n. 241/1990 e precisati dalla giurisprudenza amministrativa.

La ridetermina retroattiva delle tariffe della Tari comporterebbe, in molti casi, la richiesta di nuovi versamenti a conguaglio a carico dei soggetti privi di unità pertinenziali, i quali però avevano fatto legittimo affidamento su un calcolo effettuato dal Comune in base al quale avevano corrisposto un minore importo della Tari.

Secondo il Dipartimento, occorre ponderare l’interesse pubblico a ripristinare la corretta applicazione dell’entrata con l’interesse dei singoli contribuenti che hanno fatto legittimo affidamento sull’esatto adempimento dell’obbligazione tributaria liquidata e richiesta dallo stesso Comune.

La soluzione che emerge come preferibile dalla lettura del parere del Dipartimento è di far fronte ai rimborsi attraverso la copertura a carico del bilancio generale del Comune, come si evince da quanto affermato dalla Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Toscana nella deliberazione n. 73 del 2015.

L’istanza di rimborso deve essere proposta, a norma dell’art. 1, comma 164, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento. La domanda, che non richiede particolari formalità, deve però contenere tutti i dati necessari a identificare il contribuente, l’importo versato e quello di cui si chiede il rimborso nonché i dati identificativi della pertinenza che è stata computata erroneamente nel calcolo della Tari.

Il contribuente deve innanzitutto verificare se il proprio Comune è effettivamente incorso nell’errore di calcolo denunciato dal Dipartimento delle Finanze.

La Tari comprende una quota fissa e una variabile. La prima è in proporzione ai metri quadrati dell’abitazione mentre la seconda cresce secondo il numero dei membri della famiglia.

Il Comune, nella commisurazione della tariffa, deve tenere conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158 (art. 1, comma 651, della legge 27 dicembre 2013, n. 147).

Per la parte variabile della tariffa, il comma 2 dell’art. 5 della L. 147/2013, stabilisce che questa “è rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati specificata per kg, prodotta da ciascuna utenza”. Tuttavia, se non è possibile misurare i rifiuti per singola utenza, il comma 4 dello stesso art. 5 stabilisce che la quota variabile della tariffa relativa alla singola utenza viene determinata applicando un coefficiente di adattamento (secondo la procedura indicata nel punto 4.2 dell’allegato 1 al D.P.R. n. 158 del 1999).

Per utenza domestica deve intendersi quella comprensiva sia delle superfici adibite a civile abitazione sia delle relative pertinenze.

Il MEF, nella sua circolare n. 1/DF del 20 novembre scorso, ha richiamato anche quanto riportato nell’art. 16 del Prototipo di Regolamento per l’istituzione e l’applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), i cui principi possono ritenersi applicabili anche relativamente alla Tari.

Tale proposta regolamentare prevede che “la quota fissa della tariffa per le utenze domestiche è determinata applicando alla superficie dell’alloggio e dei locali che ne costituiscono pertinenza le tariffe per unità di superficie parametrate al numero degli occupanti…”.

La quota fissa di ciascuna utenza domestica deve essere calcolata moltiplicando la superficie dell’alloggio sommata a quella delle relative pertinenze per la tariffa unitaria corrispondente al numero degli occupanti dell’utenza stessa, mentre la quota variabile è costituita da un valore assoluto, vale a dire da un importo rapportato al numero degli occupanti che non va moltiplicato per i metri quadrati dell’utenza e va sommato come tale alla parte fissa. Rispetto alle pertinenze dell’abitazione si deve computare la quota variabile una sola volta in relazione alla superficie totale dell’utenza domestica, al fine di evitare disparità di trattamento tra i cittadini.

La Circolare ministeriale 1/DF del 20 novembre 2017 chiariva che: Un diverso modus operandi da parte dei Comuni non troverebbe alcun supporto normativo, dal momento che condurrebbe a sommare tante volte la quota variabile quante sono le pertinenze, moltiplicando immotivatamente il numero degli occupanti dell’utenza domestica e facendo lievitare conseguentemente l’importo della Tari. 

Nell’esaminare la questione, il MEF ha fatto riferimento al Prototipo di Regolamento IUC, applicabile anche alla Tari, con riferimento ai fruitori delle utenze domestiche.

Il Prototipo, però, non è fonte legislativa ed, in materia di tributi locali, il singolo Comune ha potere ed autonomia regolamentare.

L’art. 52 del D.Lgs. 446/1997, in attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nelle lettere a) e b) del c. 149 dell’art. 3 della L. 662/1996, stabilisce che Province e Comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo che per quanto attiene all’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima. Il riferimento per il quale i Comuni hanno sbagliato ad applicare il tributo, quindi, non può che essere quello legislativo e non certo il prototipo di regolamento, citato dal sottosegretario.

Il Ministero, con la circolare citata, ha chiarito che: Qualora, peraltro, i Comuni abbiano adottato disposizioni il cui contenuto si riveli difforme rispetto ai criteri di calcolo in questa sede chiariti, si invitano gli stessi a procedere ai necessari adeguamenti delle proprie previsioni regolamentari.  

La materia oggetto del contendere (modalità di calcolo della parte variabile del tributo) attiene all’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, e, quindi, è esclusa dalle materie che il Comune avrebbe, comunque, potuto disciplinare con propria norma regolamentare.

I Comuni possono stabilire ed applicare, ossia disporre e regolamentare i casi accessori al rapporto tributario, che non riguardino le caratteristiche fondanti dello stesso, quali la determinazione del soggetto passivo, della fattispecie imponibile (o presupposto di fatto) e delle esenzioni.

A fronte di un’eventuale previsione regolamentare illegittima o di una non regolare applicazione della norma legislativa, il rimedio del ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale poteva essere espletato solo se il relativo avviso di accertamento fosse stato notificato meno di sessanta giorni prima.

Se il ricorso è stato presentato tempestivamente, il giudice tributario può disapplicare l’eventuale norma regolamentare in contrasto con la legge.

Se è già spirato il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, il ricorso alla C.T.P. non è ammissibile, ma anche nel caso in cui fosse stato presentato tempestivamente ed il giudice tributario avesse deciso in senso favorevole per il contribuente, la sentenza ha validità solo tra le parti.

Ancora più improbabile era la circostanza che il contribuente fosse ancora in tempo ad impugnare dinanzi al Tar l’intero regolamento comunale relativo alla Tari, giacché verosimilmente lo stesso era stato approvato anni prima. La strada più perseguibile è, pertanto, quella della presentazione dell’istanza di rimborso, rivolta ai Comuni che hanno applicato in maniera errata il tributo.

 Fonte: articolo di Luciano Catania, segretario del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto (ME

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