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La fine della Sicilcassa, l’editoriale di Angiolo Alerci

Nei giorni scorsi ho scritto una lettera al mio amico e collega di banca Augusto

Lucchese, nostro concittadino  che da oltre cinquant’anni vive nel catanese,  dove ha fondato l’Associazione Socio culturale ETHOS  e ne dirige un affermato  giornale on line che da sempre ospita i miei articoli.

Ad Augusto avevo esternato alcune mie valutazioni ed esperienze indirettamente ricollegabili alle attuali polemiche tra la Banca d’Italia e la  Consob. Lettera che Augusto ritenne di pubblicare sul suo giornale, annotando a margine che sarebbe opportuno “ mettere in luce situazioni direttamente o indirettamente legate all’assassinio della Sicilcassa”.

Essendo stata la lettera pubblicata dal suo giornale, ho ritenuto di pubblicarla anche sugli altri giornali che ospitano i miei articoli ,con la seguente nota di chiusura:  “ Considerazioni al riguardo mi riservo di pubblicare per fare chiarezza  a fatti sconosciuti da molti e da molti interpretati in modo sbagliato”.

 Un noto economista fin dagli anni ‘80 scriveva che le banche italiane sono le cenerentole d’Europa per redditività, per efficienza, per innovazioni , mentre sono in testa per numero di dipendenti e per le sofferenze

Inoltre circa il 90%  egli Istituti di credito italiani sono fondazioni pubbliche.

Tra gli anni 80/90 il Banco di Sicilia attraversava momenti difficili ed entrava in una pesante crisi, confermata dalla vigilanza della Banca d’Italia con la verifica del bilancio  relativo all’anno 1992, situazione accertata anche dalla Guardia di Finanza che interessò  la Magistratura.

Quasi contestualmente la Banca d’Italia disponeva una ispezione alla Cassa di Risparmio V.E., a conclusione della quale richiedeva interventi sul riassetto dei vari reparti operativi ed una revisione  del coefficiente di solvibilità.

Con un successiva comunicazione nel 1994 la Banca d’Italia sollecitava alla Sicilcassa l’adozione di misure di risanamento con l’immissione di risorse patrimoniali e personali da parte di altra banca dotata di adeguate potenzialità.

Il Consiglio di Amministrazione della Cassa iniziò delle trattative con diverse banche ed in particolare con il Banco di Roma e la Cassa di Risparmio delle province lombarde, trattative che incontrarono delle difficoltà  perché non corrispondevano ai programmi  della Banca d’Italia che continuava a sollecitare  l’aumento del capitale.

Aumento  che, per il ben noto comportamento della Regione, ritardava per la mancata erogazione  di 300/miliardi di lire, destinati alla Sicilcassa in virtù della legge regionale 39 del 1991.

Mentre erano in corso trattative la Sicilcassa aveva provveduto a ridurre il proprio personale di circa 1300 unità e sistemato gran parte delle sofferenze utilizzando i fondi di accantonamento previsti dalla legge.

Il Ministro del Tesoro Carlo Azelio Ciampi , con un “tempestivo” decreto del 7 marzo  1996,  sciolse il Consiglio di Amministrazione della Sicilcassa ponendo l’Istituto in amministrazione straordinaria.

La possibile soluzione dei problemi della Sicilcassa avrebbe messo in seria difficoltà Ciampi che aveva da tempo architettato l’incorporazione della Sicilcassa nel tentativo di salvare il Banco di Sicilia.

Operazione che oggi sarebbe certamente finita sotto la lente della Magistratura dal momento che il Banco, per la sua crisi sopra evidenziata, non possedeva i requisiti imposti alla Sicilcassa di trattare con altre banche dotate di adeguate potenzialità.

La Sicilcassa venne incorporata trasferendo il proprio capitale, la propria organizzazione di circa 250 sportelli, un immenso patrimonio immobiliare,  ripulito il proprio bilancio delle sofferenze e ridotto il personale dipendente di 1300 unità.

Inoltre, per questa operazione Ciampi impose all’Istituto Mediocredito di versare nelle casse del Banco mille miliardi di vecchie lire per la ricapitalizzazione del Banco di Sicilia.

Allora si parlò del Banco che aveva salvato la Sicilcassa, mentre in effetti fu la Sicilcassa che non riuscì a salvare il Banco che venne  assorbito prima dal Banco di Roma, altro Istituto in crisi, per chiudere il ciclo con l’Unicredito costretto a raccogliere i resti di quello che era stato il più importante Istituto bancario del meridione.

Forse per questa grande strategia usata, Ciampi venne chiamato prima  a guidare  il Governo della Nazione e successivamente a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica.

Tutte queste operazioni sono avvenute in un periodo normale della nostra economia.

Quanto è accaduto in tempi più recenti ha avuto l’alibi dell’effetto crisi.

In una mia nota del 31 luglio 2016, pubblicata su diversi giornali on line ed inserita nella  pagina 83 del mio secondo libro “ Cronaca e riflessioni sulla politica italiana” dal titolo Sofferenze bancarie e stress test così scrivevo:

“Nessuno si è soffermato un po’ per considerare il fatto che, a parte la responsabilità degli amministratori nella gestione di molte banche, una responsabilità è del sistema “MAGISTRATURA”, dal momento che le azioni legali per il recupero dei crediti bancari hanno tempi lunghissimi. Dai 6 anni agli otto anni per la  definizione di una azione diretta di recupero ed oltre dieci/quindici  anni nel caso di fallimento.”

In questo periodo il debito continua a crescere con interessi di gran lunga superiori rispetto a quelli convenuti per contratto, riducendo in modo notevole il rapporto con le garanzie prestate e aggravando  le difficoltà dei debitori.

Oggi la Commissione parlamentare, che analizza molti degli aspetti che hanno provocato una crisi di sistema nel mondo bancario, si è trovata a valutare ancora una volta le diverse contrapposte posizioni di Banca Italia e Consob.

Ed ancora una volta si parla di pressioni esercitate da Banca Italia su Banca Popolare  dell’Etruria in crisi, di capitalizzarsi con la fusione con la Banca Popolare di Vicenza in crisi più profonda, interpretando in modo del tutto  particolare le condizioni dalla stessa Banca d’Italia poste,  come a suo tempo richiesto alla Sicilcassa,   di confluire in banche dotate di adeguata potenzialità scegliendo il Banco di Sicilia che si trovava in una crisi più profonda.

Per onestà devo confermare che, oltre alle mie conoscenze  dirette, molti dei dati riportati sono stati rilevati dal libro “ SICILCASSA: la morte annunciata”  di Dino Grammatico, allora Presidente della Fondazione Cassa Centrale di Risparmio V.E.

Dino Grammatico nella sua qualità seguì passo passo l’agonia e la morte della Sicilcassa.

angiolo alerci

 

 

 

 

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