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“Uno spettacolo indecente”, l’editoriale di Luca Galante

 

Qualche settimana prima un giornalista si presenta sul luogo di lavoro di una persona che, fino ad allora, aveva l’unica colpa di chiamarsi Spada, per domandargli come mai il suo clan appoggiasse Casapound alle elezioni di Ostia, e rimedia una testata che gli rompe il naso.

Non una cortese richiesta di lasciar perdere l’intervista, con il senno di poi evidentemente sgradita. Non un invito, più o meno gentile, ad andare via. Semplicemente una testata.

Aggressione, lesione, intimidazione, custodia in carcere, sfilate, marce. Tutto giusto. Ripeto giusto. Anche volendo considerare un giornalista che onestamente cerca di fare il suo lavoro alla stregua di un rompiscatole la reazione è semplicemente inaccettabile e va sanzionata. Punto. Sarei stato curioso di vedere se, al posto di un giornalista ci fosse stato un “comune cittadino” a ricevere la testata, la reazione dello Stato sarebbe stata così giustamente pronta e decisa, comunque bene così. La libertà di informazione è difesa.

Qualche giorno fa passa a miglior vita colui il quale era unanimemente riconosciuto come il capo della Cosa Nostra siciliana e ne viene disposta l’autopsia. Fin qui tutto normale. Senonché la figlia “normale” che conduce una vita alquanto ritirata e per quanto può “normale” con dei figli “normali” ha un desiderio “normale”. Dare l’ultimo saluto al padre forse amato, forse rispettato, non so e non ci deve interessare, ma comunque pur sempre il padre. E qui, in duecento metri forse meno, prima di entrare nel portone dell’obitorio, viene assalita da un nugolo di giornalisti che cercano di strapparle una dichiarazione. Lei non vuole, ma niente. Resiste e minaccia di sporgere denuncia, ma niente. Quasi implora, quando dice di dover salvaguardare i figli piccoli che, aggiungo, magari vanno a scuola e del nonno non sanno niente. Nulla. Sparata sui principali TG.

Lasciamo perdere le considerazioni sulle colpe dei padri che ricadono sulla figlia o, in questo caso, addirittura sui nipoti (e dovremmo impegnarci tutti affinché così non fosse), lasciamo perdere la mancanza di rispetto per il dolore di una figlia, sorvoliamo sul fatto che questo giornalismo televisivo fa molto Stati Uniti anni 80, e anche lì da un pezzo è stato messo al bando, sorvoliamo su tutto ma dobbiamo comunque metterci d’accordo. Qual è il limite (sociale, etico, morale, legale… va bene tutto) che i giornalisti su suolo pubblico non possono oltrepassare per svolgere il loro lavoro? C’è un limite? Può sembrare una domanda oziosa ma avere una risposta, qualsiasi essa sia, può togliere il terreno sotto ai piedi di coloro i quali, e non sono pochi, credono che Spada abbia fatto bene e che il giornalista di “Nemo” fosse solo un rompiscatole e, soprattutto eviterebbe, forse, che la categoria dei giornalisti vada ad aggiungersi a quelle dei politici, degli avvocati e dei magistrati tra quelle detestate dagli italiani. E di questi tempi non sarebbe poco.

Luca Galante

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