All News

La festa di tutti i santi

La festa di tutti i santi, di coloro hanno speso la loro vita per gli altri, nella ricerca della comunione, e che noi confessiamo viventi in Dio, è la memoria della destinazione di ogni uomo, di ogni donna, alla comunione universale e cosmica in Dio. Questo destino risponde al desiderio di felicità, di vita, di amore, di pienezza di senso che abita ogni essere umano.

La pagina delle beatitudini di Matteo, che la liturgia propone oggi, rivela che cosa sia veramente la felicità, quale sia la beatitudine che possiamo incontrare già qui e ora sulla terra. È la via tracciata dalla vita stessa di Gesù. Eppure, ascoltandola, rimaniamo sbalorditi: beati i poveri, beati i miti, beati i piangenti, beati quelli che hanno fame di giustizia, beati i pacifici… Il contrario di ciò cui aspiriamo istintivamente: ricchezza, forza, potenza, sicurezza…

Gesù aveva iniziato la sua predicazione con l’annuncio della vicinanza del regno di Dio. E dietro a lui si era formata una comunità di uomini e donne; ma oltre ai discepoli lo seguiva una folla in cui si mescolavano poveri, malati, oppressi, gli ultimi, i messi ai margini dai potenti di questo mondo. Vedendo questa folla, Gesù sale sul monte. Come Mosè era salito sul Sinai per ricevere la Legge, Gesù sale sul monte e consegna non una nuova legge ma il vangelo: vangelo che è la buona notizia, è vita, è luce, è la gioia intima di ogni uomo.

Con lo sguardo di Dio, Gesù discerne la sofferenza dell’umanità che lo aveva seguito. Non parla loro di un ideale distaccato e irrealistico. Gesù sa ascoltare il Dio che parla nelle Scritture e parla nella storia, il Dio che è sempre accanto al suo popolo. Dal suo sguardo immerso nella conoscenza di Dio, prorompe in un grido: “Beati”! Beati significa: “Coraggio!”, avanti, abbiate fiducia nella vita! Questo annuncio paradossale della felicità, che narra la promessa di Dio che si realizza qui e ora, trasfigura l’ottica con cui guardiamo e comprendiamo la vita gli altri. Non è la constatazione di una realtà passata: è un invito ad andare avanti, ad accogliere una realtà che viene a noi dall’alto, che supera ogni emozione e sentimento. È il regno di Dio che viene, accade su di noi, si fa reale quando ripudiamo gli idoli che ci rendono tristi e cattivi, per accorgerci con stupore che Dio regna nei suoi santi: i poveri, i miti, i pacifici, i puri di cuore, i perseguitati a causa della giustizia. Solo i poveri nello spirito e nel cuore sanno discernere queste beatitudini, perché attendono Dio nell’umiltà, le loro lacrime invocano quella consolazione che scenderà su ogni uomo davanti al trono di Dio, quando tutte le sofferenze che attraversano la storia saranno riscattate e misurate dalla misericordia di Dio.

Essere “beati” non significa sperimentare una dimensione di benessere e pace interiore, risultato di strategie complesse. Significa guardare ai poveri, ai diseredati, a quelli a cui non è fatta giustizia, a quelli che mancano del pane, a quelli che non hanno consolazione in questo mondo, riconoscendo proprio in loro la presenza del Signore. Significa avere una ragione per cui vale la pena vivere, amare, soffrire; trovare ogni giorno la forza di sperare. Significa avere lo sguardo di Dio, avere i suoi occhi per guardare il mondo.

fratel Adalberto

In alto