Cultura

P. Armerina: grande interesse per la mostra “Don Milani, il silenzio diventa voce”

locandina

La delicatezza del silenzio. Questo l’assunto della mostra fotografica “Don Milani, il silenzio diventa voce”. L’esposizione è ospitata nel salone centrale dell’ex convento dei Frati Minori Osservanti di Piazza Armerina.  Una mostra di rara sensibilità. Immagini in bianco e nero di una nazione povera, lacera. È, apparentemente, la storia di un pretino scivolato da un fotogramma di Mario Giacomelli. In verità, racconta l’Italia stracciona. La nazione immiserita dalla conservazione delle idee, dalla protervia greve, dalla negazione insolente. Il sacerdote dal volto tormentato, decise di opporre resistenza civile fondando una comunità pensante. Ammantando giovani vite di armonia e bellezza. Insegnando ai bambini di uno sperduto borgo montano, la ricchezza del non abbassare mai lo sguardo.

mostraLorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti era il secondogenito di una ricca famiglia ebrea di origini boeme. Una giovinezza all’insegna della passione per la letteratura e le arti visive. Poi, la conversione. Un sacerdozio sofferto. Nel 1954 i vertici della Curia decidono il suo trasferimento in una sperduta frazione montana nel Mugello. Un allontanamento, un domicilio coatto, un confino, come d’uso per ogni oppositore, renitente, indocile, disubbidiente. Don Milani trasforma quel domicilio eccentrico in un luogo baricentrico.

bartolottaBarbiana, un piccolo campo e una chiesa disadorna, assurgono a luogo di scontro e riscontro nazionale. I bambini poveri dei casolari sparsi lungo le pendici del monte Giovi, trovano asilo e ristoro in una stanza della canonica. Un ricovero di fortuna che, nell’immaginario collettivo, incarnerà la quintessenza della missione educativa. La conoscenza come riscatto degli ultimi. Far di conto per contare e non essere contati. Ragionare, pensare, comprendere, indagare. Questo insegnava Don Milani ai suoi ragazzi. Nei giorni tersi le lezioni si tenevano all’ombra di un pergolato. Una cartina geografica De Agostini, vecchie sedie impagliate, un tavolo da osteria e per pareti, le valli del Mugello. Nel 1967 l’Italia scopre la potenza rivoluzionaria di Barbiana con “Lettera a una professoressa”.  Un dettato esplicito di denuncia. Una condanna del sistema educativo che favoriva l’educazione delle classi più ricche. Pubblicata dopo la morte di Don Milani, la lettera divenne ben presto il manifesto del movimento studentesco del 1968. Il motto, la parola fondante dell’operato di questo prete intellettuale fu “I care”. Una dichiarazione di interesse contrapposta a muso duro al “Me ne frego” squadrista. Un “I care” abusato che si trasformerà in mero fondale televisivo-politico in una fiera di parole. Quei ragazzi, quegli studenti di Barbiana sono andati liberi per il mondo. Sono diventati sindacalisti, narratori, operai, professionisti affermati. Hanno imparato a trasformare la delicatezza del silenzio nella libertà di non abbassare mai lo sguardo. La mostra di Piazza Armerina è frutto del lavoro dei tanti volontari impegnati. Ma il vero regista, l’animatore instancabile, è un altro prete milaniano: Don Ettore Bartolotta (foto), parroco della chiesa di San Pietro. Don Ettore sfila dalla sua libreria un corposo Meridiano Mondadori, due volumi di elegante e costosa fattura.  Legge ad alta voce una delle lettere di Don Milani indirizzata ad un ex alunno. Quando richiude il libro, gli occhi chiari di Padre Bartolotta, sono animati dalla stessa luce del sacerdote di Barbiana.

                                                                       Concetto Prestifilippo

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